dal diario di campagna di Pietro Calamandrei

Di questa pacata e consolante serenità, che ancor oggi i boschi mi ispirano, devo esser grato al mio professore di storia naturale, che al ginnasio superiore mi insegnò a conoscere per nome le piante e gli insetti del mondo. Per sua virtù quel caos luminoso di foglie e d’ali turbinanti in libertà quale ancora m’appare la campagna dei miei primi ricordi, si placò e si chiarì in un sistema di nozioni ordinate. I lepidotteri si separarono dagli imenotteri, le rosacee dalle graminacee: il più tenue filo di fieno, la più minuta elitra luccicante al sole si distaccarono ad uno ad uno dalla natura anonima e mi vennero incontro col loro doppio nomee latino; quando ebbi saputo che la margheritina si chiamava Bellis perennis, non potei più incontrarla sui prati senza rivolgerle un saluto, come si usa, dopo la presentazione, fra persone di conoscenza. Ora anche lo smerlo di una fogliolina appena intravisto lungo una proda di campagna basta a far galleggiare dai ricordi scolastici l’appropriato nome latino: e mi sorprendo a pronunciarlo a bassa voce in tono di richiamo, come se appartenesse al linguaggio segreto con cui gli uomini possono sciogliere la impassibilità della natura e farsi riconoscere dalle piante.
Poche escursioni domenicali sui colli fiorentini, con la scorta di un vascolo e di una vanghetta, mi bastarono allora per imparare a metter da parte quel po’ di scienza botanica, che poi mi ha aiutato per tutta la vita a ritrovar popolate di amici eternamente giovani le vaste campagne. Di quelle emozionanti esplorazioni in terre vergini mi resta ancora in fondo a un armadio l’autentico giornale di bordo, un vecchio erbario composto di fogli tarlati, classificati per famiglie vegetali sotto copertine gialle chiazzate di umidità. Giacciono su questi fogli, tenute ferme da striscioline di carta ingommata, le stinte mummie dei fiori, colle diafane teste reclinate e i rametti scheletriti composti in croce: a piè di ogni foglio un cartellino, che indica il nome della pianta e il luogo dove fu colta, fa da epigrafe mortuaria.
Credevo allora di aver fissato su questi fogli la lucida seta che sfoggiano i primi anemoni, quando il grano è ancora un’erbolina sotto il cielo tredicenne di marzo, tutto capricci e presentimenti: e invece ritrovo qui sotto funebri bendaggi un cimitero di stecchi, che sanno di fieno stagionato e di muffa. Ma se anche oggi, lasciando l’erbario in fondo all’armadio insieme colle vecchie lettere d’amore che non si rileggeranno mai più, torno su quei colli fiesolani quando marzo vi torna, vi ritrovo quegli stessi vivi anemoni e quell’irrequieto e mutevole cielo: e posso aggirarmi per questi campi come se fossi di casa, padrone di essi più assai di coloro che ne figurano proprietari al catasto.

Da INVENTARIO DELLA CASA DI CAMPAGNA, capitolo IV – Erbari, parte 2° – di Piero Calamandrei

Si ringrazia per la lettura Cecilia Gallia

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NUVOLARIO di PAROLE
Bellezza, stupore e meraviglia richiamano ad un ascolto profondo della Natura. Oltre l’avventura di camminare, girovagando per scoprire nuovi paesaggi, nuovi scenari naturalistici, desideriamo ora accompagnarvi in un luogo immaginario, di condivisione di scritti e liriche, che intendono dar voce a storie, vissuti, esperienze di vicinanza alle piante, agli animali, al mondo inanimato, alla Terra e al Cielo.
…uno spazio aperto in un intervallo atemporale che ci piace chiamare: NUVOLARIO di PAROLE.