Sul piano propriamente mitologico-religioso, che sia un albero il protagonista delle feste di Natale non può dirsi un caso. Il discorso diviene a questo punto propriamente archetipico. Come l’albero dell’Eden, quello di Natale è fonte di sapienza (simboleggiata dalle luci), ricchezza (gli addobbi) e dolcezza (i dolciumi) che sotto il profilo simbologico si presentano come inesauribili. Una tradizione del genere non si può semplicisticamente esaurire nel ciclo della rinascita stagionale e della fecondità: essa in effetti attinge la sua ragion d’essere a un ben più profondo significato, quello della divinità stessa intesa come inesauribile fonte di bene. Nella tradizione vedica l’albero Acvattha è rovesciato – cioè ha le sue radici volte verso l’alto, simbolo che si ritrova nel Purgatorio di Dante – a simboleggiare che è nel cielo che esso trova il suo alimento. Divinità che prima di tutto è saggezza: nella tradizione cabalistica, l’albero sefirotico raccoglie i valori endiadici di sapienza e potenza.
Ma sapienza, potenza, ricchezza non basterebbero a qualificare il valore simbolo dell’albero se non si ricordasse che esso è anzitutto potere generativo, fonte non solo di fecondità, ma di vera e propria vita. E a questo punto si dovrebbe quanto meno sfiorare un tema tanto appassionante quanto arduo, quello del rapporto privilegiato di somiglianza fra specie umana e albero. Oggi la questione, a lungo isolata nei miti metarmorfici, e nei riti dendrolatrici, torna alla ribalta dopo studi biologici e botanici che possono anche lasciar perplessi, ma che non si può fingere d’ignorare: gli esperimenti di Hashimono volti a “comunicare” con le piante di cactus, le “emozioni” dei vegetali studiate da Cleve Backster e Ronald Hubbard, le ricerche di Chunder Bose sui sistemi nervosi di certe specie vegetali. Il problema che finisce con l’essere enucleato è evidentemente quello della “parentela” fra piante e animali, già adombrato in area indoeuropea dalla mitologia vedica in poi. La radicata tradizione folklorica per cui, ai bambini che pongono la questione della loro nascita, si risponde istituendo una loro “favolosa” parentela con una qualche pianta (un frassino, una quercia, una rosa, un cavolo), ha radici profonde, non è una sciocca invenzione dettata dalle pruderie. Si pensi ai miti di Narciso, di Dafne, di Polidoro; si pensi alle Amadriadi che, come avrebbe detto Gabriele D’Annunzio, “erompono dalla corteccia”; si pensi ai caratteri dendrolatrici dei culti di Attis con il suo pino e di Adone con i suoi giardini. Esiodo e Apollodoro parlano del frassino come generatore d’uomini; Virgilio e Giovenale di uomini “figli delle querce”. E ci sin potrebbe a questo punto ben domandare quale profonda intuizione collettiva si celi dietro espressioni usuali quali “radice”, “seme”, “albero genealogico” e via dicendo, con le quali si indica la dinamica generazionale.
Da L’albero cosmico e il presepe di Franco Cardini in Il Natale storia e leggende di Francesco Grisi 1988.
Lettura a cura di Cecilia Gallia.
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NUVOLARIO di PAROLE
Bellezza, stupore e meraviglia richiamano ad un ascolto profondo della Natura. Oltre l’avventura di camminare, girovagando per scoprire nuovi paesaggi, nuovi scenari naturalistici, desideriamo ora accompagnarvi in un luogo immaginario, di condivisione di scritti e liriche, che intendono dar voce a storie, vissuti, esperienze di vicinanza alle piante, agli animali, al mondo inanimato, alla Terra e al Cielo.
…uno spazio aperto in un intervallo atemporale che ci piace chiamare: NUVOLARIO di PAROLE.