sull’agroecobiologia

Siamo nel 1985, in una sala conferenze nella regione di Lione: un centinaio di persone sono riunite per un dibattito sul tema dell’agroecologia. Mi hanno chiesto di condividere la mia esperienza sull’argomento…
In sala c’è un amico laotiano di una cinquantina d’anni, al quale chiedo di farci partecipi dei suoi ricordi di gioventù sulla sua comunità. Lui si avvicina alla lavagna, traccia un semplice schema e dice: “Il nostro villaggio era composto di circa duecento persone, insediate sulla riva del fiume nel cuore della foresta; coltivavamo il riso, il nostro nutrimento principale. Ogni famiglia viveva in una casa costruita in modo solidale con materiali di cui disponevamo, coltivava il suo pezzetto di terra, la cui grandezza era in funzione della capacità lavorativa dei nostri bufali. Il raccolto che assicurava la sicurezza alimentare era immagazzinato in granai disposti lungo la strada del villaggio. Il fiume forniva a ogni famiglia il pesce, come complemento ai cereali, alla frutta e alla verdura. Il mutuo aiuto, la solidarietà e la reciprocità venivano da sé: ogni anno si organizzava una pesca collettiva per costruire le riserve di pesce essiccato. La comunità si faceva carico delle vedove, degli orfani, degli anziani e degli handicappati. I guaritori curavano i malati occupandosi della salute di tutti. Un’attività artigianale onnipresente rispondeva a tutti i bisogni: vestiti, mobili, calzature, utensili… Un bonzo vegliava sull’armonia sociale, arbitrava i litigi. Il sentimento generale, ispirato al buddismo, era che tutto è sacro. Quando, appollaiato su un’imbarcazione nel bel mezzo del fiume, ero colto dal bisogno pressante di urinare, mi era impensabile farlo senza chiedere perdono al fiume per la sozzura che gli avrei inflitto. Sola ombra in tutto il quadro: l’abitudine di dissodare continuamente per coltivare, cosa che recava danno all’integrità dell’ambiente naturale… Un giorno, un esperto incaricato dalla Banca mondiale venne a stare da noi per studiare il nostro sistema di vita; dopo aver esaminato tutti i parametri fece il suo rapporto. Il rapporto, destinato dunque alla Banca mondiale, stabiliva che la nostra comunità, sicuramente simpatica, non si sarebbe potuta sviluppare perché consacrava troppo tempo ad attività improduttive”.
Ciò che bisogna comprendere è che, pur rispondendo magnificamente a tutti i suoi bisogni essenziali, la comunità non creava ricchezza finanziaria. Nel linguaggio della pseudo-economia, infatti, non si vive dei beni della terra, ma di dollari: il dollaro traduce il livello di ricchezza. È una fortuna che un numero importante di comunità tradizionali continui – ma fino a quando? – a vivere di vere ricchezze. Essendosi votati anima e corpo alla potenza del vitello d’oro, i popoli satolli si sono evidentemente allontanati da quelle vere ricchezze; ma come far capire l’evidenza? Eccoci dunque, con queste considerazioni, al centro della problematica che ha stravolto tutte le strutture sociali tradizionali, alle quali vien spesso rimproverato, dalla ‘civiltà’, di annullare la libertà individuale, a causa dell’obbligo di conformarsi alle regole del corpo sociale. Sta al denaro, signore assoluto, decidere cosa siano le ricchezze, la povertà o la miseria.

Da La sobrietà felice di Pierre Rabhi – add editore 2013

Pierre Rabhi è uno scrittore, agricoltore e ambientalista francese. Originariamente musulmano, si converte al cristianesimo prima di abbandonare anche quella religione. Rabhi ha studiato in Francia ed è considerato una figura importante nell’agro-ecologia francese. Nasce nel 1938 nel sud dell’Algeria e a vent’anni si trasferisce a Parigi. Negli anni Novanta crea l’associazione Terre&Humanisme per la trasmissione dell’etica e della pratica agro-ecologica e, nel 2006, il movimento Colibris.

Un ringraziamento per la lettura a Cecilia Gallia

***
NUVOLARIO di PAROLE
Bellezza, stupore e meraviglia richiamano ad un ascolto profondo della Natura. Oltre l’avventura di camminare, girovagando per scoprire nuovi paesaggi, nuovi scenari naturalistici, desideriamo ora accompagnarvi in un luogo immaginario, di condivisione di scritti e liriche, che intendono dar voce a storie, vissuti, esperienze di vicinanza alle piante, agli animali, al mondo inanimato, alla Terra e al Cielo.
…uno spazio aperto in un intervallo atemporale che ci piace chiamare: NUVOLARIO di PAROLE.